La sensazione che per riparare ad un’ingiustizia (l’Olocausto) si stesse compiendo a propria volta un’altra ingiustizia (la sottrazione della terra ai palestinesi) c’è stata da sempre. Lo testimonia questo racconto dello scrittore israeliano Yizhar Smilansky, pubblicato per la prima volta nel 1949 (dunque ad un anno dalla proclamazione dello stato di Israele) che narra lo sfollamento e la deportazione di donne vecchi e bambini dal loro villaggio ad opera di una pattuglia dell’esercito occupante. La voce narrante è quella di un soldato del suddetto squadrone militare, che nello svilupparsi della storia lascia trapelare il proprio disagio rispetto all’operazione che stanno compiendo, fino al finale in cui si manifesta l’illuminazione per la quale l’esilio al quale stanno condannando il popolo dei profughi palestinesi non è altro che il corrispettivo moderno dell’esilio biblico del popolo ebreo.
p.s.: ci sarà un soldato israeliano, almeno uno, che di fronte ai massacri e agli sfollamenti ancora peggiori di questi giorni scriverà un libro altrettanto accorato? Speriamo.
«Come in un lampo mi fu chiaro. Tutto improvvisamente mi sembrò diverso, piú preciso: “L’esilio, ecco questo è l’esilio. È cosí che accade. Non sono mai stato in esilio — dicevo tra me —, non l’ho mai conosciuto... però me ne hanno parlato, mi hanno raccontato, l’ho studiato a scuola, me l’anno ripetuto a ogni angolo, nei libri e nei giornali, ovunque: l’esilio. Hanno suonato tutte le mie corde. Il grido del nostro popolo contro il mondo: l’esilio! Era dentro di me profondamente, l’avevo succhiato col latte di mia madre. E cosa stavamo facendo qui noi oggi?».
Hideo Azuma (1950-2019) — disegnatore piuttosto celebre per aver sfornato una quantità di manga per bambini e adolescenti, dei quali da noi arrivano solo Pollon e Nanako SOS per via di serie tv animate — attorno alla quarantina mi va in crisi, abbandona il tetto familiare e si mette a condurre una vita da clochard, e la prima metà del suo libro a fumetti sotto forma di diario è dedicata proprio al racconto degli espedienti dei quali vivono persone in queste condizioni, ed è forse la piú interessante. Successivamente trova un lavoro da operaio, tramite il quale cerca di reinserirsi in una vita regolare. Stacco temporale, e il Nostro torna indietro alla sua vita precedente da disegnatore, e la descrizione del mondo del fumetto nipponico quale vera e propria industria permette di intuire forse i motivi del suo esaurimento nervoso. Nuovo stacco, e nell’ultimo capitolo ci racconta il (tentato?) recupero dall’alcolismo nel quale nel frattempo era caduto, con conseguente ricovero ospedaliero e incontri psicoterapeutici, etc. Insomma, dopo una vita passata ad occuparsi di storie per adolescenti ci ha lasciato il suo lavoro piú maturo, ma con lo stile comico di sempre.
Il buon Gad Lerner ricicla e reintegra una serie di reportage scritti per Repubblica nel 2008 da Libano, Israele, Siria, Polonia, Ucraina, etc., che putacaso sono i luoghi di origine e di transito della sua costellazione familiare, da parte di madre e di padre. È l’occasione per riassumerne la storia recente, che si intreccia sovente con quella personale e di famiglia, a partire dallo sterminio degli ebrei nella Galizia degli anni Trenta, al Libano materno, gli Hezbòlla, la protesta giovanile verso l’Israele delle stragi di Sabra e Chatila, il rapporto conflittuale con il padre ebreo-conservatore, eccetera.
Non un libro sul pensiero positivo o sul buddismo zen, ma sulla pubblicità, e nella fattispecie sui rapporti di lavoro tra agenzia e cliente, scritto da un art director britannico di successo (della Saatchi & Saatchi) a fine carriera. Da navigato esperto del settore, il buon(anima) Paul Arden sapeva bene che il risultato del prodotto pubblicitario non va misurato in termini assoluti ma è frutto di un compromesso tra i desiderata del cliente, gli spunti del creativo e l’enigmatico assetto mentale del pubblico ricevente. In questo senso, i pur numerosi consigli sulla creatività sono superati da quelli motivazionali, che non si riducono al banale motto “credere nelle proprie idee”, ma portano a mettersi nei panni della controparte per cercare di vendere quelle idee, approfittando anche dei punti deboli della committenza, senza rinunciare al coraggio necessario per sostenere qualche soluzione non convenzionale alla quale si creda particolarmente, anche a rischio del licenziamento (conseguente l’eventuale fallimento nell’acquisizione della campagna).
Phaidon Press, 2003, 128 pagg.
Cut-out:
Do not put your cleverness in front of the communication.
If you get stuck, draw with a different pen.
"Success is going from failure to failure with no loss of enthusiasm" (Churchill)
"To become a champion, fight one more round" (J. Corbett)
Il buon Carlo Boccadoro mette sotto la lente di ingrandimento gli album pubblicati da Battiato tra il 1974 e il 1978, quelli che vanno da “Clic” a “L’Egitto prima delle sabbie”. In questo lasso di tempo l’artista siculo si affranca dal sistema tonale, abbandona chitarre, ritmica, etc., insomma gli strumenti musicali del rock-prog che ancora caratterizzavano i dischi precedenti, e intraprende una ricerca sonora del tutto personale, anche se ispirata dal lavoro di compositori d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta, e bisogna ammettere che l’autore del libro è sicuramente la persona piú adatta per sottolineare puntualmente le relazioni tra i brani di Battiato e quelli dei vari Stockhausen, Paolo Castaldi, Terry Riley, etc., dei quali fornisce precisi titoli di riferimento. Forse avremmo evidenziato la sicura derivazione dal Futurismo (e nello specifico dal manifesto dell’Arte dei Rumori di Luigi Russolo) dei brani frutto di collage sonori di materiali di varia natura, presenti in varie forme sia nell’album “Clic”, che in “M.lle le Gladiator”, ma il cui esito migliore viene raggiunto in “Café table musik”, che non a caso sta nel sottotitolo del libro di cui sopra. Tuttavia Boccadoro predilige le composizioni (chiamiamole cosí) pianistiche, che si basano su materiale minimo di poche note ripetute all’infinito e che, sviluppandosi per via di piccole variazioni continue, costruiscono uno spazio sonoro nel quale le risonanze che si producono nelle lunghe pause sono l’essenza stessa della composizione.
Romanzo epistolare nel quale una sorta di Anna Frank della Sicilia di metà Ottocento comunica le proprie sensazioni ad una amica immaginaria dalla ridotta in cui è confinata prima di essere deportata definitivamente verso la clausura del convento. Il racconto interiore in prima persona che va dall’aderenza alla realtà allo scollamento che conduce alla pazzia ricorda in qualche modo lo sviluppo de “La signorina Else”, ma un tot di anni prima di Schnitzler e Freud.
Due graphic novels al prezzo di una, pubblicate dapprima singolarmente nella collana Feltrinelli Comics, rispettivamente nel 2018 e 2019, e ora raccolte in formato ridotto nella collana economica dello stesso editore. Trattasi di un discreto esempio italiano del cosiddetto graphic journalism, genere narrativo-giornalistico a fumetti lanciato da Joe Sacco coi suoi reportage dalla Palestina, e da noi frequentato soprattutto da Zero Calcare coi suoi resoconti dei viaggi nel kurdistan. Nella prima parte i due autori sono ospiti della Acquarius, una nave ong per il salvataggio dei migranti nelle acque del Mediterraneo, operante nella zona SAR (search & resque) nelle prossimità della Libia. La seconda è invece pensata come logica prosecuzione della prima, trattandosi di un viaggio in Sud Italia nei centri SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che organizza(va)no l’integrazione di quegli stessi migranti: si parla di Riace, dell’esperienza di Mimmo Lucano, della baraccopoli di San Ferdinando, etc. Ottimamente disegnate e ben documentate, con qualche ingenuità nella sceneggiatura della prima parte, risentono se vogliamo un po’ del classico buonismo di maniera, che scivola spesso e volentieri nel patetismo: per questo motivo la reputiamo un’operazione interessante, ma che avremmo voluto di tono piú graffiante e un po’ piú vera, per uscire dal cliché che siamo abituati a vedere nel giornalismo tout-court, e per i quali toni il fumetto si presterebbe in maggior misura (il già citato Zero Calcare, per quanto la sua coattitudine sia insopportabile alla lettura, lavora in tal senso).
Se è vero com’è vero (lo dice WPedia) che il buon DFWallace soffriva da anni di depressione, allora possiamo ipotizzare che il reportage crocieristico commissionatogli da una rivista americana — successivamente ampliato per il libro di cui sopra — ha contribuito senza dubbio a dargli il colpo di grazia che l’ha portato al suicidio un paio di lustri fa. L’assurdità di una tale esperienza, cosí meticolosamente descritta dall’autore, col vacanziero servito e riverito da personale anonimo e gentile, perché prezzolato, in una vacanza caraibica senza senso, in compagnia di viaggiatori altrettanto assurdi, non può che alienare qualsiasi individuo che sia sano di mente. Invero la narrazione non è cosí tragica, sebbene a volte affiori la depressione di cui sopra, ma è caratterizzata da una strana desolazione divertente, sempre distaccata, ma precisissima nel descrivere la futilità di ciò che accade. Una certa dose di simpatia può essere dovuta alla versione italiana tradotta da Francesco Piccolo, che deve aver desunto da qui lo stile ironico tipico dei suoi libri, o semplicemente già era nelle sue stesse corde. Abbastanza a sproposito potremmo aggiungere che, qualora l’acume eccezionale di Foster Wallace avesse trovato applicazione nei rispetti di tematiche meno aleatorie e idiosincratiche, forse ne avrebbe guadagnato in salute mentale. Ma ormai è un po’ tardi per i consigli (non richiesti tra l’altro).
Simpatico libretto del buon Carlo Sbroccadoro, che si può dividere grosso modo in due parti: la prima parte tratta della specialità del Nostro, ovvero la musica contemporanea, e delle difficoltà che questa incontra nella programmazione musicale italiana, per pigrizia mentale degli operatori culturali e del pubblico e per conseguente sconvenienza economica. Data la expertise in materia, e dai nomi dei compositori forniti nel testo, il buon Sbroccadoro ci stimola all’approfondimento del tema, soprattutto alla luce della tesi opposta sostenuta da Sandrino Baricchio nel celebre “L’anima di Hegel e le mucche del Wiscounsin” (che, dobbiamo dire, ci convince maggiormente). La seconda parte del libro si concentra invece sul cambiamento delle modalità di fruizione della musica da parte del pubblico. La tesi sostenuta, abbastanza condivisibile, è che la frammentarietà dell’ascolto, causata dallo streaming digitale e dall’aumento delle distrazioni della vita quotidiana, determinano una perdita nella possibilità di comprensione di un discorso musicale (alla pari di un discorso letterario) di una certa complessità e che necessiti di svilupparsi in un arco di tempo superiore a quello che normalmente la gente è disposta a concedergli. Anche la sovrabbondanza di materiale musicale disponibile, grazie al digitale, può essere un fattore negativo, sia per il pubblico, che trova difficile concentrarsi su un artista o su un genere particolare, sia per i compositori musicali, per i quali la conoscenza eccessiva di tutto lo scibile che viene prodotto, può precludere o rendere molto complicato il determinarsi di una scuola, che consenta un’evoluzione coerente di un pensiero musicale, nel solco di una tradizione o di una linea coerente di sviluppo, causando uno spaesamento sia verso il pubblico che verso se stessi.
Il proposito di parlare di musica tramite il linguaggio del fumetto era già di per sé stesso indicativo quantomeno di una certa temerarietà, in quanto le due arti fanno capo a sistemi sensoriali differenti (l’udito, nel primo caso, e la vista, nel secondo), che nulla hanno a che fare l’uno con l’altro, motivo per il quale tutt’al piú si può cercare di essere quanto piú evocativi possibile. Inoltre, il buon Parisipaolo si cimenta col jazz, genere che già ha trovato strada fumettistica per via delle celebri storie di Muñoz e Sampayo, dedicate a Billie Holiday & company, e purtroppo il confronto con tali precedenti illustri non può che essere meno che impietoso. Aggiungiamo che il trattamento di questa graphic novel assume una connotazione estremamente didascalica. Che dire, dunque? L’unico senso di un fumetto come questo è di colmare una lacuna nella bibliografia italica di John Coltrane, il quale è inspiegabilmente assente da una qualsivoglia trattazione musicale e non (per non parlare della mitica seconda moglie Alice).
Una graphic novel di RR, il fumettista piú sopravvalutato (da sé stesso) del mondo. Curiosamente, nello spazio di poche settimane, sono stati pubblicati almeno un paio di libri a fumetti che mutuano dal Pompeo di Andrea Pazienza la loro realizzazione su fogli di quaderno ma, se nel primo caso in esame (ci riferiamo a La mia cosa preferita sono i mostri, del quale parleremo quanto prima) la scelta riflette la volontà di trasmettere l’urgenza — seppur simulata — della scrittura disegnata pseudo-diaristica, nel caso di Recchioni invece siamo piú nel campo della citazione estetica: difatti la presenza di Paz vi ricorre in almeno altri due frangenti: il primo è lo stile quasi pittorico adottato, che ricorda le tavole di Campofame — oltretutto, il tipo di storia, basata sull’emarginazione e la sofferenza, ne ripercorre il senso —; la seconda citazione è quella, quasi letterale, nella vignetta di uscita, della celebre poesia-grafica zen Stella, fiore, notte... I problemi fumettistici di Recchioni sono sempre gli stessi: una pretenziosità esagerata, unita ad un linguaggio espressivo che vorrebbe essere epico ma che non riesce ad andare oltre la stucchevolezza piú imbarazzante, testi autoreferenziali, dialoghi artritici, etc. Salvano la situazione in extremis un paio di trovate pseudo-geniali da pseudo-scrittore maledetto disseminate nella storia, ma non valgono la candela.
L’ennesima graphic novel autobiografica. Questa volta trattasi di una giovane coppia che si ritrova con una bimba trisomica (ovvero affetta dalla sindrome di down) e tutto il libro è un percorso catartico e psicanalitico che va dal trauma alla sua elaborazione e alla sua (quasi) soluzione. L’autore pare essersi inventato fumettista per l’occasione, e in tal caso gli vanno fatti i complimenti perché la padronanza degli strumenti narrativi è encomiabile, e lo stile quasi umoristico adottato (una costante nel fumetto d’autore da una trentina d’anni in qua, anche perché chi è dotato per la scrittura difficilmente lo può essere altrettanto nel disegno) è ideale per addolcire un tema altrimenti piuttosto difficoltoso da affrontare e far digerire.
La graphic novel dell’anno è senza dubbio questo mastodontico libro d’esordio dell’americana Emil Ferris, del tutto atipico sia nello stile, tutto disegnato a penna a sfera, sia nella storia, con riferimenti autobiografici, che racconta le peripezie di una ragazzina emarginata e del suo inquietante vicinato, ambientata negli anni Sessanta USA. Si tratta certamente di un caso interessante, per lo sforzo profuso nel costruire un sistema narrativo originale e coerente, con una trama che si spinge all’indietro nel tempo fino all’antisemitismo europeo degli anni 40 (una strizzata d’occhio a Maus?), tuttavia in fin dei conti appare come un catalogo di brutture e di degrado sociale un po’ fine a se stesso, e anche la soluzione del mistero dato dal coté noir dello spunto di partenza è ampiamente telefonato fin dall’inizio.
Ultime recensioni inserite
La rabbia del vento / S. Yizhar ; traduzione di Dalia Padoa
La sensazione che per riparare ad un’ingiustizia (l’Olocausto) si stesse compiendo a propria volta un’altra ingiustizia (la sottrazione della terra ai palestinesi) c’è stata da sempre. Lo testimonia questo racconto dello scrittore israeliano Yizhar Smilansky, pubblicato per la prima volta nel 1949 (dunque ad un anno dalla proclamazione dello stato di Israele) che narra lo sfollamento e la deportazione di donne vecchi e bambini dal loro villaggio ad opera di una pattuglia dell’esercito occupante. La voce narrante è quella di un soldato del suddetto squadrone militare, che nello svilupparsi della storia lascia trapelare il proprio disagio rispetto all’operazione che stanno compiendo, fino al finale in cui si manifesta l’illuminazione per la quale l’esilio al quale stanno condannando il popolo dei profughi palestinesi non è altro che il corrispettivo moderno dell’esilio biblico del popolo ebreo.
p.s.: ci sarà un soldato israeliano, almeno uno, che di fronte ai massacri e agli sfollamenti ancora peggiori di questi giorni scriverà un libro altrettanto accorato? Speriamo.
«Come in un lampo mi fu chiaro. Tutto improvvisamente mi sembrò diverso, piú preciso: “L’esilio, ecco questo è l’esilio. È cosí che accade. Non sono mai stato in esilio — dicevo tra me —, non l’ho mai conosciuto... però me ne hanno parlato, mi hanno raccontato, l’ho studiato a scuola, me l’anno ripetuto a ogni angolo, nei libri e nei giornali, ovunque: l’esilio. Hanno suonato tutte le mie corde. Il grido del nostro popolo contro il mondo: l’esilio! Era dentro di me profondamente, l’avevo succhiato col latte di mia madre. E cosa stavamo facendo qui noi oggi?».
Einaudi, 84 pagg., 8,50 euri
Il diario della mia scomparsa - Hideo Azuma
Hideo Azuma (1950-2019) — disegnatore piuttosto celebre per aver sfornato una quantità di manga per bambini e adolescenti, dei quali da noi arrivano solo Pollon e Nanako SOS per via di serie tv animate — attorno alla quarantina mi va in crisi, abbandona il tetto familiare e si mette a condurre una vita da clochard, e la prima metà del suo libro a fumetti sotto forma di diario è dedicata proprio al racconto degli espedienti dei quali vivono persone in queste condizioni, ed è forse la piú interessante. Successivamente trova un lavoro da operaio, tramite il quale cerca di reinserirsi in una vita regolare. Stacco temporale, e il Nostro torna indietro alla sua vita precedente da disegnatore, e la descrizione del mondo del fumetto nipponico quale vera e propria industria permette di intuire forse i motivi del suo esaurimento nervoso. Nuovo stacco, e nell’ultimo capitolo ci racconta il (tentato?) recupero dall’alcolismo nel quale nel frattempo era caduto, con conseguente ricovero ospedaliero e incontri psicoterapeutici, etc. Insomma, dopo una vita passata ad occuparsi di storie per adolescenti ci ha lasciato il suo lavoro piú maturo, ma con lo stile comico di sempre.
Scintille : una storia di anime vagabonde / Gad Lerner
Il buon Gad Lerner ricicla e reintegra una serie di reportage scritti per Repubblica nel 2008 da Libano, Israele, Siria, Polonia, Ucraina, etc., che putacaso sono i luoghi di origine e di transito della sua costellazione familiare, da parte di madre e di padre. È l’occasione per riassumerne la storia recente, che si intreccia sovente con quella personale e di famiglia, a partire dallo sterminio degli ebrei nella Galizia degli anni Trenta, al Libano materno, gli Hezbòlla, la protesta giovanile verso l’Israele delle stragi di Sabra e Chatila, il rapporto conflittuale con il padre ebreo-conservatore, eccetera.
2009, Feltrinelli Editore, 230 pagg., 8 euri nell’edizione economica
It's not how good you are, it's how good you want to be / the world's best-selling book by Paul Arden
Non un libro sul pensiero positivo o sul buddismo zen, ma sulla pubblicità, e nella fattispecie sui rapporti di lavoro tra agenzia e cliente, scritto da un art director britannico di successo (della Saatchi & Saatchi) a fine carriera. Da navigato esperto del settore, il buon(anima) Paul Arden sapeva bene che il risultato del prodotto pubblicitario non va misurato in termini assoluti ma è frutto di un compromesso tra i desiderata del cliente, gli spunti del creativo e l’enigmatico assetto mentale del pubblico ricevente. In questo senso, i pur numerosi consigli sulla creatività sono superati da quelli motivazionali, che non si riducono al banale motto “credere nelle proprie idee”, ma portano a mettersi nei panni della controparte per cercare di vendere quelle idee, approfittando anche dei punti deboli della committenza, senza rinunciare al coraggio necessario per sostenere qualche soluzione non convenzionale alla quale si creda particolarmente, anche a rischio del licenziamento (conseguente l’eventuale fallimento nell’acquisizione della campagna).
Phaidon Press, 2003, 128 pagg.
Cut-out:
Do not put your cleverness in front of the communication.
If you get stuck, draw with a different pen.
"Success is going from failure to failure with no loss of enthusiasm" (Churchill)
"To become a champion, fight one more round" (J. Corbett)
Battiato - Carlo Boccadoro
Il buon Carlo Boccadoro mette sotto la lente di ingrandimento gli album pubblicati da Battiato tra il 1974 e il 1978, quelli che vanno da “Clic” a “L’Egitto prima delle sabbie”. In questo lasso di tempo l’artista siculo si affranca dal sistema tonale, abbandona chitarre, ritmica, etc., insomma gli strumenti musicali del rock-prog che ancora caratterizzavano i dischi precedenti, e intraprende una ricerca sonora del tutto personale, anche se ispirata dal lavoro di compositori d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta, e bisogna ammettere che l’autore del libro è sicuramente la persona piú adatta per sottolineare puntualmente le relazioni tra i brani di Battiato e quelli dei vari Stockhausen, Paolo Castaldi, Terry Riley, etc., dei quali fornisce precisi titoli di riferimento. Forse avremmo evidenziato la sicura derivazione dal Futurismo (e nello specifico dal manifesto dell’Arte dei Rumori di Luigi Russolo) dei brani frutto di collage sonori di materiali di varia natura, presenti in varie forme sia nell’album “Clic”, che in “M.lle le Gladiator”, ma il cui esito migliore viene raggiunto in “Café table musik”, che non a caso sta nel sottotitolo del libro di cui sopra. Tuttavia Boccadoro predilige le composizioni (chiamiamole cosí) pianistiche, che si basano su materiale minimo di poche note ripetute all’infinito e che, sviluppandosi per via di piccole variazioni continue, costruiscono uno spazio sonoro nel quale le risonanze che si producono nelle lunghe pause sono l’essenza stessa della composizione.
Con cuore di donna / Carla Capponi
Segnalazione per i gestori: il titolo non corrisponde alla foto e alla descrizione.
Storia di una capinera / Giovanni Verga ; a cura di Sergio Campailla
Romanzo epistolare nel quale una sorta di Anna Frank della Sicilia di metà Ottocento comunica le proprie sensazioni ad una amica immaginaria dalla ridotta in cui è confinata prima di essere deportata definitivamente verso la clausura del convento. Il racconto interiore in prima persona che va dall’aderenza alla realtà allo scollamento che conduce alla pazzia ricorda in qualche modo lo sviluppo de “La signorina Else”, ma un tot di anni prima di Schnitzler e Freud.
Salvezza - Marco Rizzo, Lelio Bonaccorso
Due graphic novels al prezzo di una, pubblicate dapprima singolarmente nella collana Feltrinelli Comics, rispettivamente nel 2018 e 2019, e ora raccolte in formato ridotto nella collana economica dello stesso editore. Trattasi di un discreto esempio italiano del cosiddetto graphic journalism, genere narrativo-giornalistico a fumetti lanciato da Joe Sacco coi suoi reportage dalla Palestina, e da noi frequentato soprattutto da Zero Calcare coi suoi resoconti dei viaggi nel kurdistan. Nella prima parte i due autori sono ospiti della Acquarius, una nave ong per il salvataggio dei migranti nelle acque del Mediterraneo, operante nella zona SAR (search & resque) nelle prossimità della Libia. La seconda è invece pensata come logica prosecuzione della prima, trattandosi di un viaggio in Sud Italia nei centri SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che organizza(va)no l’integrazione di quegli stessi migranti: si parla di Riace, dell’esperienza di Mimmo Lucano, della baraccopoli di San Ferdinando, etc. Ottimamente disegnate e ben documentate, con qualche ingenuità nella sceneggiatura della prima parte, risentono se vogliamo un po’ del classico buonismo di maniera, che scivola spesso e volentieri nel patetismo: per questo motivo la reputiamo un’operazione interessante, ma che avremmo voluto di tono piú graffiante e un po’ piú vera, per uscire dal cliché che siamo abituati a vedere nel giornalismo tout-court, e per i quali toni il fumetto si presterebbe in maggior misura (il già citato Zero Calcare, per quanto la sua coattitudine sia insopportabile alla lettura, lavora in tal senso).
Una cosa divertente che non farò mai più / David Foster Wallace ; traduzione di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo
Se è vero com’è vero (lo dice WPedia) che il buon DFWallace soffriva da anni di depressione, allora possiamo ipotizzare che il reportage crocieristico commissionatogli da una rivista americana — successivamente ampliato per il libro di cui sopra — ha contribuito senza dubbio a dargli il colpo di grazia che l’ha portato al suicidio un paio di lustri fa. L’assurdità di una tale esperienza, cosí meticolosamente descritta dall’autore, col vacanziero servito e riverito da personale anonimo e gentile, perché prezzolato, in una vacanza caraibica senza senso, in compagnia di viaggiatori altrettanto assurdi, non può che alienare qualsiasi individuo che sia sano di mente. Invero la narrazione non è cosí tragica, sebbene a volte affiori la depressione di cui sopra, ma è caratterizzata da una strana desolazione divertente, sempre distaccata, ma precisissima nel descrivere la futilità di ciò che accade. Una certa dose di simpatia può essere dovuta alla versione italiana tradotta da Francesco Piccolo, che deve aver desunto da qui lo stile ironico tipico dei suoi libri, o semplicemente già era nelle sue stesse corde. Abbastanza a sproposito potremmo aggiungere che, qualora l’acume eccezionale di Foster Wallace avesse trovato applicazione nei rispetti di tematiche meno aleatorie e idiosincratiche, forse ne avrebbe guadagnato in salute mentale. Ma ormai è un po’ tardi per i consigli (non richiesti tra l’altro).
Analfabeti sonori - Carlo Boccadoro
Simpatico libretto del buon Carlo Sbroccadoro, che si può dividere grosso modo in due parti: la prima parte tratta della specialità del Nostro, ovvero la musica contemporanea, e delle difficoltà che questa incontra nella programmazione musicale italiana, per pigrizia mentale degli operatori culturali e del pubblico e per conseguente sconvenienza economica. Data la expertise in materia, e dai nomi dei compositori forniti nel testo, il buon Sbroccadoro ci stimola all’approfondimento del tema, soprattutto alla luce della tesi opposta sostenuta da Sandrino Baricchio nel celebre “L’anima di Hegel e le mucche del Wiscounsin” (che, dobbiamo dire, ci convince maggiormente). La seconda parte del libro si concentra invece sul cambiamento delle modalità di fruizione della musica da parte del pubblico. La tesi sostenuta, abbastanza condivisibile, è che la frammentarietà dell’ascolto, causata dallo streaming digitale e dall’aumento delle distrazioni della vita quotidiana, determinano una perdita nella possibilità di comprensione di un discorso musicale (alla pari di un discorso letterario) di una certa complessità e che necessiti di svilupparsi in un arco di tempo superiore a quello che normalmente la gente è disposta a concedergli. Anche la sovrabbondanza di materiale musicale disponibile, grazie al digitale, può essere un fattore negativo, sia per il pubblico, che trova difficile concentrarsi su un artista o su un genere particolare, sia per i compositori musicali, per i quali la conoscenza eccessiva di tutto lo scibile che viene prodotto, può precludere o rendere molto complicato il determinarsi di una scuola, che consenta un’evoluzione coerente di un pensiero musicale, nel solco di una tradizione o di una linea coerente di sviluppo, causando uno spaesamento sia verso il pubblico che verso se stessi.
Coltrane / Paolo Parisi
Il proposito di parlare di musica tramite il linguaggio del fumetto era già di per sé stesso indicativo quantomeno di una certa temerarietà, in quanto le due arti fanno capo a sistemi sensoriali differenti (l’udito, nel primo caso, e la vista, nel secondo), che nulla hanno a che fare l’uno con l’altro, motivo per il quale tutt’al piú si può cercare di essere quanto piú evocativi possibile. Inoltre, il buon Parisipaolo si cimenta col jazz, genere che già ha trovato strada fumettistica per via delle celebri storie di Muñoz e Sampayo, dedicate a Billie Holiday & company, e purtroppo il confronto con tali precedenti illustri non può che essere meno che impietoso. Aggiungiamo che il trattamento di questa graphic novel assume una connotazione estremamente didascalica. Che dire, dunque? L’unico senso di un fumetto come questo è di colmare una lacuna nella bibliografia italica di John Coltrane, il quale è inspiegabilmente assente da una qualsivoglia trattazione musicale e non (per non parlare della mitica seconda moglie Alice).
Io sono un gatto - Natsume Soseki
L'ho piantato neanche a metà.
La fine della ragione - Roberto Recchioni
Una graphic novel di RR, il fumettista piú sopravvalutato (da sé stesso) del mondo. Curiosamente, nello spazio di poche settimane, sono stati pubblicati almeno un paio di libri a fumetti che mutuano dal Pompeo di Andrea Pazienza la loro realizzazione su fogli di quaderno ma, se nel primo caso in esame (ci riferiamo a La mia cosa preferita sono i mostri, del quale parleremo quanto prima) la scelta riflette la volontà di trasmettere l’urgenza — seppur simulata — della scrittura disegnata pseudo-diaristica, nel caso di Recchioni invece siamo piú nel campo della citazione estetica: difatti la presenza di Paz vi ricorre in almeno altri due frangenti: il primo è lo stile quasi pittorico adottato, che ricorda le tavole di Campofame — oltretutto, il tipo di storia, basata sull’emarginazione e la sofferenza, ne ripercorre il senso —; la seconda citazione è quella, quasi letterale, nella vignetta di uscita, della celebre poesia-grafica zen Stella, fiore, notte... I problemi fumettistici di Recchioni sono sempre gli stessi: una pretenziosità esagerata, unita ad un linguaggio espressivo che vorrebbe essere epico ma che non riesce ad andare oltre la stucchevolezza piú imbarazzante, testi autoreferenziali, dialoghi artritici, etc. Salvano la situazione in extremis un paio di trovate pseudo-geniali da pseudo-scrittore maledetto disseminate nella storia, ma non valgono la candela.
Non è te che aspettavo - Fabien Toulmé
L’ennesima graphic novel autobiografica. Questa volta trattasi di una giovane coppia che si ritrova con una bimba trisomica (ovvero affetta dalla sindrome di down) e tutto il libro è un percorso catartico e psicanalitico che va dal trauma alla sua elaborazione e alla sua (quasi) soluzione. L’autore pare essersi inventato fumettista per l’occasione, e in tal caso gli vanno fatti i complimenti perché la padronanza degli strumenti narrativi è encomiabile, e lo stile quasi umoristico adottato (una costante nel fumetto d’autore da una trentina d’anni in qua, anche perché chi è dotato per la scrittura difficilmente lo può essere altrettanto nel disegno) è ideale per addolcire un tema altrimenti piuttosto difficoltoso da affrontare e far digerire.
La mia cosa preferita sono i mostri. Libro primo - Emil Ferris
La graphic novel dell’anno è senza dubbio questo mastodontico libro d’esordio dell’americana Emil Ferris, del tutto atipico sia nello stile, tutto disegnato a penna a sfera, sia nella storia, con riferimenti autobiografici, che racconta le peripezie di una ragazzina emarginata e del suo inquietante vicinato, ambientata negli anni Sessanta USA. Si tratta certamente di un caso interessante, per lo sforzo profuso nel costruire un sistema narrativo originale e coerente, con una trama che si spinge all’indietro nel tempo fino all’antisemitismo europeo degli anni 40 (una strizzata d’occhio a Maus?), tuttavia in fin dei conti appare come un catalogo di brutture e di degrado sociale un po’ fine a se stesso, e anche la soluzione del mistero dato dal coté noir dello spunto di partenza è ampiamente telefonato fin dall’inizio.